Spengo dopo il TG. Le prime sere di TV

«Che noia, che barba», verrebbe da esclamare dopo la prima settimana di nuova programmazione di TV generalista italiana. Le due parole ci ricordano lo sketch finale di “Casa Vianello”, che era invece una sit-com divertentissima, in onda su Canale 5 fino al 2007. Nel 2019 l’access prime time è davvero più grigio. Leggiamo la TV con i dati Auditel.

Su RaiUno «I soliti ignoti – il ritorno» presenta un po’ di patina e ho qualche dubbio che riuscirà a mantenere lo share considerando il bonus di spettatori legato da sempre al primo canale (4.478.000 spettatori, share 18.3%, dati Auditel del 19/9). Tutto sommato è più vitale un programma come Paperissima Sprint su Canale 5 (3.730.000 spettatori, share 15.2%). Il pubblico che apprezza l’approfondimento giornalistico premia la qualità sia di Otto e Mezzo e della sua conduttrice Lilli Gruber su La7 (1.778.000 spettatori, 7.4%), sia di Stasera Italia su Rete 4 (1.325.000, 5.7%), e segnala che sarebbero da rivedere le scelte della Rai con Storie Minime (1.095.000, 4.8%) e TG2 Post (910.000, 3.7%). Gli spettatori affezionati di CSI (1.211.000, 5.1%) e Un Posto al Sole (1.577.000, 6.4%) resistono nel tempo alle ere televisive.

Nella programmazione che va dal TG alla prima serata rivediamo i soliti programmi, senza verve, senza alcun impegno creativo, senza azzardo. Ed i soliti volti, che saranno pure simpatici al pubblico, ma si cristallizzano in format per intere ere geologiche televisive. «Una volta due anni al massimo mi chiamavano e mi dicevano: guarda che il programma lo devi cambiare», ricorda Pippo baudo in una bella intervista al Corriere della Sera di Renato Franco. Di chi è la colpa di tanta piattezza? «Un po’ della pigrizia e un po’ dell’incertezza di dirigenti che sono emanazione di forze politiche cangianti: i vertici Rai hanno la sedia che balla sotto di loro, non sono sereni. La tv di Stato dovrebbe creare gruppi di lavoro con il solo scopo di inventare e sperimentare programmi, come accadde con la Rai3 di Guglielmi», eppure, almeno la TV di Stato, per concludere con le parole di Baudo, «avrebbe l’obbligo, come servizio pubblico, di variare l’offerta. Invece…».

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